Costruire per istinto
L’atto primordiale di attraversare lo spazio nasce dal bisogno naturale di muoversi per reperire il cibo e tutto ciò che è necessario alla sopravvivenza, ma una volta soddisfatti questi bisogni primari, il camminare si è trasformato in forma simbolica che ha permesso all’uomo di abitare il mondo.
Modificando i significati dello spazio attraversato, il percorso è stato la prima azione estetica, che ha organizzato il caos costruendo un nuovo ordine, sul quale è fondata l’architettura, dal menhir, alla scultura e alla definizione di paesaggio.
È da questa semplice azione, che compiamo fin dai primi anni di vita che si sono sviluppate le più importanti relazioni con il territorio.
La foto pubblicata, è stata scattata tra gli scogli ed il mare di Napoli.
Ma quello che rappresenta, una baracca di emergenza per pescatori potrebbe trovarsi ovunque, in Normandia come a Rio de Janeiro, perché quello che la caratterizza non è certo un legame con l’ambiente circostante.
Quello che succede in alcune zone, anonime, senza destinazione d’uso, è ben diverso da ciò che avviene in “Le memorie di Adriano” di Marguerite Yourcenar, nei territori dove si azzerano tutti i parametri, non si costruisce collaborando con la terra, non si imprime un segno dell’uomo su un paesaggio che ne resterà modificato per sempre, non si contribuisce lentamente alla trasformazione della vita della città.
Insomma, tutti i valori dell’architettura, dalle origini ai nostri giorni, come segno formale ed ideale non sussistono più.
Questo tipo di interventi, casuali, dettati solo dalla necessità, segnano un passaggio, una traccia silenziosa ed effimera, si inseriscono in maniera obliqua e trasversale, solo per servire una funzione temporanea, non hanno radici, (né fondazioni statiche) e nemmeno la pretesa di averle.
Camminando lentamente ci si imbatte in questi atolli disseminati casualmente in arcipelaghi liquidi, di un liquido amniotico, dove potenzialmente può succedere di tutto.
È la stessa presenza dell’uomo ad essere liquida, un flusso continuo, come le maree che salgono e che lentamente corrodono con il sale il legno di scarto con cui è composta la baracca mobile.
Lo stesso legno, tra qualche giorno diventerà una panchina, oppure un tavolo per dipanare le reti, sulla riva del mare.
Text and picture by Marta Orlando.1