Negli anni 80 per volere di Karol Wojtila sorse a Capua, a pochi chilometri da Napoli un grande quartiere residenziale destinato ad accogliere i profughi polacchi, numerosissimi in quell’area periferica.
Questo quartiere composto perlopiù da abitazioni in linea ed a ballatoio aveva la vocazione di un campo, un dormitorio isolato dal centro cittadino, senza servizi ed infrastrutture interne, con poche aiuole verdi e qualche albero secolare sopravvissuto allo spolio della speculazione edilizia dell’epoca.
Negli anni successivi, grazie alla progressiva integrazione della comunità polacca, il campo è stato abbandonato e non ha ha avuto nessuna destinazione d’uso, tranne che come ricovero provvisorio di qualche immigrato clandestino.
Oggi, in completo stato di abbandono e degrado degli edifici, riqualificato dagli abitanti di capua come una discarica a cielo aperto, e un deposito di materiali tossici come amianto ed eternit è occupato abusivamente da alcune comunità stanziali di sinti, rom, romeni, e nomadi siciliani, che vi trovano rifugio solo nel periodo estivo.
Il carattere di ghetto di questo posto è potenziato dal completo disinteresse della popolazione autoctona e delle amministrazioni, non è presente una rete fognaria, né elettrica, è difficile stabilire un censimento degli occupanti, i bambini non frequentano le scuole, le strutture architettoniche riversano in uno stato di dissesto statico gravissimo, e più volte si sono verificati incendi dolosi all’interno, ad opera di esterni.
Le comunità che occupano questo ghetto provvedono autonomamente a gestire ed auto costruire il proprio spazio abitativo, c’è ovunque un prolificare di superfetazioni, interne ed esterne alle strutture degradate preesistenti, coltivazioni private di orti, dove nasce e cresce verdura e frutta fortemente contaminata da inquinanti, rifiuti, particelle cancerogene.
Entrando nel campo si respira un’aria di sospensione.
Tutto è molto silenzioso, gli unici rumori che si avvertono sono quelli degli insetti, e delle grida dei bambini che giocano su cumuli di spazzatura.
Questi, non hanno contatti con l’intorno, nascono e crescono in questo ghetto, in queste condizioni di indigenza nessuno si preoccupa delle malattie che contraggono a contatto con materiali cancerogeni.
E tutto ciò, nel 2009, in un Paese europeo, democratico, in un recinto, in un ghetto, a pochi metri da un centro cittadino fiorente.
Text and picture by Marta Orlando.